Embodiment e Giustizia sociale (secondo BO FORBES)

Ieri sera ho ascoltato uno dei talks del summit “Embodied social justice”, organizzato da Embodied Yoga, una piattaforma online, che offre corsi e classi di Yoga ed altre forme di embodiment. 

La persona invitata a parlare era la psicologa Bo Forbes, esperta di Yoga, mindfulness ed embodiment, nonché una delle insegnanti che seguo da lungo tempo. Bo Forbes è particolarmente interessata agli effetti sul corpo da parte del sistema sociale in cui viviamo. 

La sua analisi è particolarmente interessante e vorrei buttare giù qui i punti principali, per assorbire meglio i concetti espressi e per condividere con voi le sue interessantissime osservazioni.

La premessa su cui si fonda il lavoro di Bo Forbes è che la società in cui viviamo, almeno nel mondo occidentale, è dominata dal colonialismo, dal patriarcato, dalla supremazia dei bianchi, e dal capitalismo. Se non ce ne eravamo accorti prima, questo momento storico particolare in cui viviamo, sicuramente ci ha aperto gli occhi. 

Questa dominanza ha creato in modo del tutto artificiale, delle diseguaglianze sociali, non limitatate solo alla razza, ma a tutto ciò che è percepito come diverso dallo standard dell’uomo bianco.

La cultura dominante, in cui siamo immersi e da cui, in modo spesso inconscio, siamo condizionati fin dalla nascita, si esprime con una serie di paradigmi, dove il corpo, in quanto tale, è completamente marginalizzato, al fine di privilegiare la mente, dove la supremazia della ragione prevale sulla gnosi, e dove la mente domina sulla materia. 

Questo paradigma è chiaramente espresso nel modo in cui è organizzato il nostro sistema scolastico, dove lo sviluppo della logica e dell’intelletto sono gli obiettivi principali a discapito della coltivazione del corpo e della sua naturale intelligenza. 

Altri aspetti che riflettono la marginalizzazione del corpo, sono il controllo economico e lo sfruttamento del corpo, il corpo visto come fonte di manodopera e di produzione, anche quando siamo a riposo. Il riposo infatti è concepito solo se funzionale al rinnovare le energie per continuare a produrre. 

La produzione, l’essere produttivi, come scopo primario del singolo individuo, ci ha portato, insieme allo sviluppo della tecnologia, a perdere contatto con i ritmi naturali del corpo, che naturalmente dovrebbe alternare lavoro e pausa, diverse volte nel corso di una singola giornata (secondo Bo, 90 minuti di lavoro, 20 minuti di pausa), e non lavorare di continuo per otto ore o più.

Nel paradigma del capitalismo, l’individuo è più importante della collettività.

La marginalizzazione del corpo ci ha portato al disembodiment, il corpo non va ascoltato, ma piuttosto dominato e modellato sulla base di un in ideale che ci viene imposto dalla cultura dominante: bianco, magro, flessibile, forte, atletico e chiaro nella sua espressione sessuale (maschio o femmina). Al corpo viene negato il diritto di avere una forma organica, e viene invece costretto, contratto in una forma non naturale. Mentre ci identifichiamo con la mente (la mente è il nostro sé) il corpo è percepito come l’altro.

Lo Yoga, la mindfulness, ma anche tutte le forme di movimento e rituali indigeni, ci riportano all’importanza di tornare al nostro corpo, di sentirlo, sia come corpo fisico, ma anche come corpo emotivo e sociale. 

Quando siamo più connessi al nostro corpo, alla nostra interiorità, siamo più in grado di leggerne i messaggi, comprendere le nostre emozioni e regolarle. 

Il pericolo del disembodimnt, sostiene Bo, è che se non abbiamo una connessione forte con il mondo interiore del nostro corpo, il nostro senso di sè viene dominato e plasmato dalle forze esterne, il colonialismo, il patriarcato, la supremazia dei bianchi, ma anche i media, i social media, e le norme culturali dominanti. 

E l’opposto è altreattanto vero, più siamo connessi a queste forze esterne, più debole è la connessione con il nostro sè interiore e minore è il nostro senso di embodiment.

Secondo Bo, queste forze esterne possono essere considerate vere e proprie malattie del disembodiment e il non essere embodied (incarnati) è di per sè una forma di trauma. 

Lo sapevate che quando non occupiamo il corpo, la capacità di movimento è limitata, la temperatura corporea è ridotta e viene rilasciata istamina, divenendo causa di infiammazione?

Come possiamo coltivare l’embodiment?

È importante partire dal ribaltare il paradigma del corpo come oggetto, e accogliere la possibilità che il corpo sia anche soggetto, capace di intuizione e intelligenza e capace di promuovere cambiamenti del cervello e della mente.

Il ritorno al corpo significa anche aumentare il proprio repertorio di sensazioni tollerabili, aumentare la capacità di essere presenti con tutte le sensazioni di malessere e di disagio, che abbiamo soppresso nella nostra vita, e che riemergono dal corpo come risultato del riportare la luce nell’ombra del nostro subconscio. E in alcune di queste ombre, potremmo scoprire la nostra complicità nel protrarsi del sistema dominante, e dobbiamo quindi imparare ad essere presenti con quelle sensazioni spiacevoli di vergogna e imbarazzo che ne potrebbero emergere. 

L’ embodiment quindi, conclude Bo, diventa un atto non solo personale, ma anche un atto rivoluzionario, sociale e politico! 

Food for thought! 

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