Breve storia della mia ansia e del mio percorso di guarigione (in corso)

Nella mia vita non sono mai stata una persona ansiosa. 

Mi ricordo che quando mia madre si preoccupava per qualcosa di drammatico che sarebbe potuto accadere, le dicevo sempre di non preoccuparsi, fino a che l’evento non fosse davvero successo, ossia di “non fasciarsi la testa, prima di rompersela”. 

Quindi, quando all’età di circa 37 anni, mi è stata diagnosticata un disturbo di ansia generalizzata, io stessa sono rimasta scioccata, assolutamente impreparata a ricevere questa diagnosi, eppure i segni e i sintomi erano tutti lì, in piena vista.

Probabilmente, fino ad allora, avevo sempre associato il concetto di ansia alla preoccupazione eccessiva nei confronti di scenari apocalittici, che solitamente hanno scarsissima possibilità di accadere, come quando ci si preoccupa, magari fino a sentirsi quasi svenire, se non si riesce a contattare il marito o il figlio per telefono e ci si immagina già che gli sia successo qualcosa di grave, tipo un incidente mortale. Ecco, questo non era il tipo di ansia che avevo. (È tuttavia un altro modo in cui l’ansia può manifestarsi).

La mia ansia è iniziata con una serie di sintomi fisici, che oggi riconosco essere una diretta conseguenza dell’attivazione della risposta da stress o da sopravvivenza del mio sistema nervoso, ma che invece al momento, non riconosciuti come tali, mi hanno catapultato in un senso di disperazione e preoccupazione per la mia salute. 

Purtoppo, quando ci si comincia a preoccupare, il nostro sistema nervoso autonomo si attiva ancora di più e va a generare ulteriori sensazioni fisiche, che diventando una conferma del malessere, creano inevitabilmente un circolo vizioso. 

Il mio primo sintomo è stato un senso di testa vuota, come di vertigine. Il primo dottore che ho consultato quindi è stato un medico otorinolaringoiatra. Oggi so che quel senso di testa vuota e di vertigini era causato da una eccessiva contrazione dei muscoli del collo, e probabilmente anche dalla coesistente attivazione del sistema vagale dorsale, che può associarsi ad un senso di distacco e parziale dissociazione. 

Durante la prima visita, ero probabilmente così agitata, che la contrazione della muscolatura del collo è andata ad interferire con la mia capacità propriocettiva, l’ abilità di riconoscere la posizione del proprio corpo o delle sue parti, nello spazio. Quando il dottore mi chiese di chiudere gli occhi e provare a camminare sul posto, all’ apertura degli occhi, con shock, mi sono ritrovata dall’altra parte della stanza! 

“Qualcosa non va” è stato il commento del medico e da lì è iniziata la prima di una lunga serie di investigazioni mediche, che ovviamente non hanno portato a nessuna scoperta particolare. Tutti i test di udito, di equilibrio che poi ho condotto sono risultati normali, ma dato che continuavo a soffire di vertigine, ho fatto anche una TAC al cervello (ero negli Stati Uniti, tutto molto rapido), anche questa negativa. Nel frattempo il livello di tensione era tale, che ho cominciato ad avere la pressione sanguigna alle stelle, e di certo non ha aiutato che fossero state messe delle stazioni per misurare la pressione proprio nella hall dell’edificio dove lavoravo. 

Ogni volta che misuravo la pressione, i valori della pressione sistolica si aggiravano sui 170-180, e ritornavo alla mia scrivania con un senso di grande angoscia e preoccupazione.

Poi si sono aggiunte la tachicardia e un senso di forte tensione al petto, nonché dispnea (sensazione di diffficoltà a respirare), che mi hanno portato dal medico di base. Quando si cerca, si trova, e cosí il dottore, in aggiunta alla pressione alta e alla tachicardia, mi trovò un piccolo soffio al cuore, alla quale scoperta seguirono ecografie, test da sforzo etc, per rivelare che il mio cuore stava comunque bene. 

Intanto la tensione al collo era diventata insopportabile, di notte quando mi giravo sul letto, il mio collo faceva dei “click” continui. La chiropratica che mi visitò, pensava che avessi avuto un incidente, perché avevo (e ancora ho) perso la mia curvatura cervicale. 

Altri strani sintomi che ho avuto sono stati: un senso di bruciore ai gomiti, fastidio nelle zone genitali (il ginecologo mi trovò una disbiosi, ma le terapie non ebbero nessun effetto), movimenti incontrollabili delle palpebre, senso di bocca asciutta, zone di anestesia e parestesia sulla testa, contrazione della muscolatura che fa rizzare i capelli (sentivo proprio le singole ciocche di capelli contrarsi!), formicolio e pizzicorio della lingua. Ho scoperto dopo, che le persone ansiose sentono le sensazioni interne con grande intensità, ma hanno difficoltà a comprenderne il significato (che si può descrivere come un problema di interocezione) e tendono ad elaborare una storia catastrofica per giustificarne la presenza. 

Ogni nuovo sintomo (derivato dalla mia interocezione alterata) mi gettava nel panico, nell’ansia, nell’angoscia, e innescava il pensiero ruminante su quale patologia, possibilmente mortale, quel sintomo potesse essere espressione (e ho imparato che cercare su google i sintomi non è una buona idea).

A differenza dell’ipocondriaco, che continua a preoccuparsi a dispetto delle rassicurazioni mediche, quando ogni medico mi comunicava i risultati negativi dei test, venivo presa da un senso di grande sollievo, un senso di benessere mi avvolgeva; probabilmente era l’unico modo che il mio sistema nervoso conosceva per regolarsi e cercare di completare il ciclo da stress. Il pattern era più o meno questo: un nuovo sintomo, una nuova preoccupazione, indagini mediche, il sollievo che non fosse nulla di grave. 

Quando finalmente sono andata da uno psichiatra e ho raccontato i miei disagi fisici e i miei pensieri ruminanti, ecco che è arrivata, appunto come uno shock, la diagnosi di ansia generalizzata. Perchè ero sorpresa? Perchè a mio avviso, le mie preoccupazioni sul mio stato di salute non erano una fantasia o una esagerazione, erano motivate da veri e propri disturbi fisici. 

Purtroppo, nessuno dei medici che ho incontrato mi ha mai spiegato come tutti i sintomi di cui avevo sofferto fossero espressione di una disregolazione del mio sistema nervoso autonomo, rimasto bloccato nella attivazione del sistema nervoso simpatico e parzialmente del vago dorsale (nella morsa della tensione al collo, a volte mi sentivo come distaccata dal mio corpo, quasi come se fossi solo parzialmente presente, incapace di reagire con prontezza, ma anche anestetizzata emotivamente, quando non travolta dalla paura). Lo psichiatra mi prescrisse il prozac, un anti depressivo, e devo dire che mi aiutò riducendo fortemente l’aspetto ruminativo. 

La fase acuta durò circa 6 mesi e poi il mio collo cominciò ad allentare la presa e la vita sembrò tornare ad una finta normalità. Il primo episodio di ansia era avvenuto quando mia figlia aveva appena un anno, in quel periodo vivevo a Washington, Dc, non avevo supporto, ero stata costretta a lasciarla all’asilo nido dall’età di 6 settimane (negli Stati Uniti non esiste il concetto di periodo di maternità). 

La maternità risveglia emozioni, riporta alla memoria la propria infanzia, ciò che non si ha avuto e si vuole dare a questa nuova vita. Oggi penso che non sia un caso che quelle stesse energie da stress, probabilmente generate, ma tenute soppresse durante la mia infanzia, siano emerse con grande forza proprio quando sono diventata madre e mi sono aperta a sentire di più le mie emozioni. 

Mia figlia è arrivata subito, appena l’abbiamo voluta, ma quando abbiamo provato ad avere un secondo figlio, è iniziato un altro piccolo inferno. Per due anni e mezzo abbiamo provato di tutto (incluse due IVF fallite) senza successo (lo stress sottostante purtroppo allontana le risorse del corpo dalle zone riproduttive), ma grazie alla mia incredibile determinazione e probabilmente anche al destino, con l’ aiuto di una dolcissima dottoressa cinese, siamo finalmente riusciti a concepire (naturalmente) il nostro secondo figlio (che è 5 anni più piccolo della prima). Ma l’energia da stress sotto sotto continuava a covare. 

La seconda gravidanza è stata caratterizzata da grossi problemi di insonnia (a volte non ho dormito per 6 giorni di fila), che però interpretavo come conseguenza dello scompiglio ormonale e una preparazione all’insonnia forzata, che probabilmente sarebbe seguita una volta nato il piccolo. E invece, questa insonnia si è poi ripresentata quando mio figlio aveva circa un anno, in un momento di grande stress a lavoro, ed è ha segnato, nonchè caratterizzato, l’inizio della mia seconda fase acuta di ansia. In quel periodo ci siamo trasferiti a San Diego, ho lasciato per sempre il mio lavoro da ricercatrice e mi sono dedicata di più ai mie figli, che avevano bisogno di una madre presente, soprattutto durante il cambiamento. 

A San Diego mi sono accostata allo Yoga e me ne sono innamorata, ma lo Yoga non mi ha subito aiutato con l’ansia e con l’insonnia. 

È stato quando ho cominciato a praticare uno stile di Yoga più lento e più mindful, che mi ha rimesso in contatto con le sensazioni del mio corpo, che è cominciato il mio vero percorso di guarigione. Lo Yoga inoltre mi ha portato a studiare il sistema nervoso e finalmente ho potuto comprendere la mia storia di ansia come una storia di disregolazione del sistema nervoso autonomo, dovuta probabilmente ad una risposta ad eventi della mia infanzia e adolescenza. 

Il percorso Yoga non è solo un ritorno al corpo, ma è anche un percorso di auto analisi e auto osservazione. La continua osservazione dei miei processi mentali, insieme all’attenzione alle sensazioni del corpo, mi hanno portato a comprendere in prima persona, come i miei pensieri influenzassero direttamente la mia fisiologia e come la mia fisiologia influenzasse i miei pensieri. Un pensiero di preoccupazione per la salute, mia o dei miei figli, si convertiva immediatamente in un battito accelerato, mani sudate, senso di angoscia. 

La capacità di osservare il rapporto causa ed effetto tra pensieri e sensazioni, è stato fondamentale per assimilare come esperienza vissuta l’ insegnamento dello Yoga, che ci invita a distinguere la nostra vera natura, la consapevolezza, dagli oggetti in essa contenuti, quali pensieri, emozioni e sensazioni. È dalla identificazione con il contenuto della coscienza che, secondo lo Yoga, nasce la sofferenza. Se il pensiero negativo e catastrofico viene creduto come verità, inevitabilmente genera una risposta del corpo e probabilmente un certo tipo di comportamento, che tenderà a ripetersi, fino a quando non viene portato alla luce della nostra coscienza. Viceversa, lo stato fisiologico a sua volta può creare un certo tipo di processo mentale, che tenderà a ripetersi. E si è così creato un circolo vizioso.

Nel praticare mindfulness dei nostri processi mentali (quali ad esempio preoccupazione, pianificazione, immaginazione etc), e non delle storie che attraversano la nostra mente, possiamo accorgerci come alcuni processi tendono a ripetersi, indipendentemente dalla storia o dal contenuto. 

Oggi so che quando comincio a preoccuparmi troppo, vuol dire che non ho regolato abbastanza il mio sistema nervoso, e la mia fisiologia di fondo viene giustificata mentalmente da una storia di preoccupazione. Come dice la psicoterapeuta Deb Dana, la storia segue lo stato (story follows state), ci raccontiamo storie che diano un senso alla nostra fisiologia. Quando cambiamo la fisiologia, possiamo cominciare a cambiare la nostra storia. 

Il percorso di guarigione è un processo lungo e lento, in cui i momenti di successo si alternano a momenti di regressione, è un continuo ricordare (la propria natura essenziale) e dimenticare.

Oggi sono più una persona ansiosa, mi preoccupo raramente e se mi accorgo di farlo, mi fermo, faccio un respiro profondo e blocco il ciclo dell’ansia sul nascere. 

Tuttavia l’ energia da stress, le emozioni e le sensazioni represse durante tutta la mia vita non si sono esaurite, e ogni tanto mi ritrovo con un indurimento della muscolatura del collo oppure con la comparsa di strane sensazioni corporee, che mi visitano per qualche giorno e poi vanno via.

Alternativamente le energie vengono spesso rilasciate sotto forma di tremori e movimenti involontari, che emergono naturalmente quando mi rilasso e mi apro alla possibilità di ascoltare il mio corpo. 

La maggior parte dei giorni sono serena. Camminando nei campi con il mio cane, sento la gioa di essere viva, di essere parte di qualcosa di più grande, il mio cuore si apre e il mondo sembra avere colori piú vividi. 

Questo viaggio di riconquista di se stessi, è lungo e a tratti difficile, ma, almeno per me, necessario per ritrovare il vero senso della vita. 

La mia storia di ansia può non somigliare alla storia di ansia di un’altra persona. Il manuale di diagnosi della malattie psichiatriche (DSM-5) include nei disturbi d’ansia, il disturbo d’ansia generalizzata, il disturbo d’ansia da separazione, la fobia sociale, il disturbo di panico, le fobie specifiche, l’agorafobia, l’ipocondria e il mutismo selettivo. Ognuno di questi disturbi si manifesta in modo diverso, ciononostante è importante ricordare che alla base di ogni disturbo d’ansia, c’è sempre la disregolazione del sistema nervoso autonomo e che quindi il primo approccio terapeutico dovrebbe essere quello di regolazione dello stesso.


Come può autarci lo Yoga, concretamente, a regolare il nostro sistema nervoso autonomo, a cambiare il nostro stato fisiologico e passare dallo stato ansioso o stressato, ad uno stato di calma? 


La prossima settimana offrirò un challenge gratuito di 5 giorni di Mindful Yoga per stress e ansia nella mia pagina Facebook, https://www.facebook.com/MFmindfulyoga

Ogni giorno esploreremo una diversa tecnica di regolazione: il grounding, il respiro, l’ attenzione alle sensazioni corporee, il canto con un mantra e la gentilezza. Saranno classi di circa 30 minuti, che potrete ripetere quando necessario. I video rimarranno nella mia pagina.



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